Il malassorbimento e l’intolleranza al lattosio

L’intolleranza al lattosio si manifesta  quando viene a mancare parzialmente o totalmente l’enzima in grado di scindere il lattosio (ipolattasia), il principale zucchero del latte ma presente anche in altri prodotti caseari o derivati del latte.

Il lattosio è un disaccaride composto da una molecola di glucosio e una di galattosio uniti con legame beta-glicosidico. È sintetizzato dalle ghiandole mammarie e rappresenta il principale zucchero del latte di quasi tutti i mammiferi (Tab. I). La quantità di lattosio contenuta nei derivati del latte è variabile, diminuisce all’aumentare del grado di stagionatura del prodotto: durante tale processo, infatti, il lattosio viene fermentato dai batteri lattici e quindi già formaggi a pasta semidura, come l’Emmental, contengono livelli di lattosio molto bassi, mentre formaggi a pasta dura, come il Parmigiano Reggiano, ne contengono livelli vicini allo zero. Il lattosio è presente come additivo in numerose preparazioni alimentari, in quanto favorisce una buona miscelazione di coloranti e additivi; è contenuto in caramelle, prodotti da forno, cereali per prima colazione, salse, budini, salumi, preparati per brodo, gnocchi di patate, cibi in scatola. Infine, è utilizzato come eccipiente in farmaci e integratori alimentari, ma in concentrazioni dell’ordine del milligrammo, quindi trascurabili

Lattosio e lattasi

La digestione del lattosio avviene nell’intestino tenue a opera della lattasi, una proteina espressa dalle cellule epiteliali dell’orletto a spazzola dei villi coriali. La lattasi idrolizza il lattosio nei due monosaccaridi glucosio e galattosio (Fig. 1), rendendoli assorbibili dalla mucosa intestinale (1)

Idrolisi del lattosio a opera della lattasi.

Il deficit di lattasi.

Quando l’attività lattasica intestinale non è sufficiente a digerire il lattosio introdotto con l’alimentazione, si parla di ipolattasia o deficit di lattasi, una condizione che determina il malassorbimento di lattosio. I livelli di lattasi nell’intestino sono massimi alla nascita ma, dopo lo svezzamento, l’espressione dell’enzima subisce una graduale e progressiva riduzione nella maggior parte dei mammiferi (viene perso fino al 75-90% dell’enzima) determinando l’ipolattasia primaria. Il conseguente malassorbimento del lattosio si manifesta generalmente non prima dei 6-7 anni di età, ma a volte è anche molto più tardivo (2) , mostrando un costante aumento di prevalenza anche nelle fasce di età superiori ai 65 anni (3). La cinetica della riduzione e l’entità della lattasi residua presentano notevole variabilità tra diversi gruppi etnici e addirittura tra individui. Si tenga presente che la riduzione fino al 50% dell’attività lattasica è comunque sufficiente a garantire un’efficace digestione del lattosio (4).

Esistono anche altre forme di ipolattasia:

  • l’ipolattasia congenita;
  • l’ipolattasia secondaria;

L’ipolattasia congenita è una rara condizione autosomica recessiva, caratterizzata da grave manifestazione diarroica con feci acquose sin dalla prima assunzione di latte da parte del neonato; persiste per tutta la vita e impone la completa esclusione delle fonti di lattosio dall’alimentazione (5).

L’ipolattasia secondaria si verifica, invece, quando un danno della mucosa del tenue provoca un temporaneo deficit di lattasi; tipicamente, tutte le malattie dell’intestino tenue, come ad esempio la malattia celiaca o il morbo di Crohn a localizzazione enterale, sono in grado di provocare un deficit secondario di lattasi, ma più comunemente infezioni batteriche o virali, infestazioni parassitarie, come ad esempio una giardiasi, o trattamenti farmacologici (6) inducono una transitoria perdita di enzima nelle aree di mucosa colpite dal processo infiammatorio o infettivo. È ovviamente una condizione reversibile che impone l’esclusione dalla dieta delle fonti di lattosio solo finché non si sia ripristinata la normale struttura della mucosa intestinale.

Ipolattasia primaria: diffusione e basi genetiche

L’ipolattasia primaria è una condizione estremamente diffusa nella popolazione mondiale, ma con sostanziali variazioni tra i diversi gruppi etnici; la prevalenza della malattia è minima nelle popolazioni Nordeuropee, mentre è particolarmente elevata in Asia, Africa e Australia (Tab. 2).

In Italia il deficit di lattasi interessa in media il 40-50% della popolazione, con punte di prevalenza particolarmente elevate nelle popolazioni meridionali potendo raggiungere il 70% in Campania e Sicilia (7, 8).  Dal punto di vista filogenetico, la “normalità” è rappresentata dalla perdita dell’espressione della lattasi, definita “non persistenza”. Infatti nella vita dell’uomo, come del resto di altri mammiferi, l’alimentazione si basa esclusivamente sul latte materno solo per i primi mesi di vita. È quindi intuibile come la regolazione dell’espressione del gene della lattasi possa prevedere il suo progressivo declino nelle successive fasi della vita. Tuttavia, il genotipo che determina la persistenza dell’attività lattasica, si riscontra solo nelle popolazioni Nord-europee, nei loro discendenti e in alcune tribù nomadi africane e arabe. In Europa, la persistenza o non persistenza dell’espressione della lattasi è associata al cosiddetto polimorfismo puntiforme C/T13910, cioè alla sostituzione di una singola base nucleotidica in una sequenza di DNA che svolge attività regolatoria sul gene della lattasi: il genotipo CC è associato a ipolattasia (la lattasi residua è circa il 10% rispetto ai livelli della nascita), mentre il genotipo TT a persistenza di attività lattasica. La presenza di un genotipo CT, invece, predispone alla presenza di livelli di espressione intermedia (10, 11).

SNP più importanti che codificano l’attività della lattasi nella regione 2q.21-22 LCT.
Figura 2. SNP più importanti che codificano l’attività della lattasi nella regione 2q.21-22 LCT.

Ipolattasia, malassorbimento e intolleranza

In presenza di ipolattasia si verifica il malassorbimento del lattosio. La quota di lattosio non digerita e non assorbita dall’intestino tenue raggiunge il colon, un organo non in grado di assorbire gli zuccheri. Qui viene fermentato dalla flora batterica residente con produzione di acidi grassi a catena corta (butirrato, acetato, propionato), acqua e gas (CO2, H2, CH4, N2). La conseguente comparsa di sintomi, la cosiddetta sindrome da intolleranza al lattosio, è direttamente dipendente da questo processo: gli acidi grassi a catena corta, fisiologica fonte di energia per le cellule del colon, se presenti in concentrazioni eccessive causano dolore sia per acidificazione del contenuto del viscere sia per effetto irritativo diretto mucosale, che provoca, inoltre, un’accelerazione dell’attività motoria del colon e quindi diarrea, per una conseguente minore efficienza dei meccanismi di assorbimento dell’acqua; l’eccessivo contenuto fecale in acqua è causato anche dalla sua liberazione durante i processi di fermentazione dello zucchero; infine, l’eccessiva produzione di gas provoca i cosiddetti sintomi “gas-relati”, quali il meteorismo, la flatulenza e la distensione addominale che, se eccessiva, può favorire la comparsa del dolore (Fig. 3). Questa cascata di eventi è identica per qualsiasi forma di zucchero mal assorbito dall’intestino tenue: fruttosio, mannitolo, dolcificanti alimentari, lattulosio, compresa la fibra alimentare. Ciò rende ragione del fatto che la percezione da parte del paziente del ruolo causale sui sintomi dei vari cibi introdotti con l’alimentazione è spesso errata e l’abolizione dalla dieta di alcuni cibi, di conseguenza, è spesso inutile, se non addirittura dannosa

Malassorbimento e intolleranza non sono necessariamente correlati: l’intolleranza si manifesta infatti solo nel 30-50% degli ipolattasici.

Non tutti i soggetti con malassorbimento di lattosio, tuttavia, presentano la sindrome da intolleranza. I motivi per cui ciò accade sono parzialmente chiari. Sicuramente, la quantità di lattasi residua espressa dalle cellule del tenue rappresenta il parametro principale, ma di fondamentale importanza sono anche altri fattori, come la composizione del pasto e la sensibilità viscerale (9, 13, 14).  Soggetti “ipersensibili”, cioè caratterizzati da basse soglie di sensibilità, possono percepire come fastidioso uno stimolo applicato a livello del colon, che in soggetti normosensibili risulta asintomatico. Inoltre, le caratteristiche qualitative e quantitative della flora batterica del colon possono svolgere un ruolo importante. Infatti, è verosimile che l’entità dei processi fermentativi che si svolgono nel colon dipenda largamente dalla composizione della flora colonica. Infine, fattori psicologici possono influenzare notevolmente il livello di percezione dei sintomi e vanno tenuti in seria considerazione nella valutazione dei disturbi riferiti dal paziente.

Riassumendo, gli attori che favoriscono la comparsa di intolleranza al lattosio sono:

  • quantità di lattasi residua;
  • introito alimentare di lattosio;
  • tempo di svuotamento gastrico;
  • il tempo di transito intestinale;
  • sensibilità viscerale;
  • caratteristiche della microflora colonica;
  • fattori psicologici.

Le conseguenze dell’intolleranza e i rischi per la salute

L’intolleranza al lattosio, presunta o reale, comporta da parte dei pazienti l’esclusione spontanea dalla dieta del latte e dei suoi derivati per evitare i disturbi gastrointestinali imputati, non sempre a ragione, all’assunzione di tali prodotti. Ciò comporta un aumentato rischio di sviluppare carenze nutrizionali. Infatti, l’eliminazione di latte e derivati dall’alimentazione rende assai difficile soddisfare i fabbisogni giornalieri di calcio. Ciò a livello osseo ostacola il raggiungimento di un adeguato livello di mineralizzazione nell’età giovanile e favorisce lo sviluppo di osteoporosi in epoca peri-menopausale, post-menopausale e senile (15, 16, 17). Inoltre, è stato recentemente dimostrato come la percezione da parte del paziente di essere portatore di intolleranza al lattosio si associ a ipertensione e diabete mellito di tipo 2 (18) e come il consumo abituale di latte e derivati si associ a una minore incidenza di carcinoma del colon (19, 20). Pertanto, in presenza di intolleranza al lattosio è fondamentale ricorrere all’aiuto di un nutrizionista per impostare adeguate misure dietetiche che da un lato evitino carenze nutrizionali e, dall’altro, siano efficaci a migliorare la sintomatologia  

Bibliografia

1 Lomer MC, Parkes GC, Sanderson JD. Lactose intolerance in clinical practice – miths and realities. Aliment Pharmacol Ther 2008;27;93-103.

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13 Di Stefano M, Miceli E, Mazzocchi S, et al. Visceral hypersensitivity and intolerance symptoms in lactose malabsorption. Neurogastroenterol Motil 2007;19:887-95.

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15 Matlik L, Savaiano D, McCabe G, et al. Perceived milk intolerance is related to bone mineral content in 10- to 13-year-old female adolescents. Pediatrics 2007;120:e669-77.

16 Di Stefano M, Veneto G, Malservisi S, et al. Lactose malabsorption and intolerance and peak bone mass. Gastroenterology 2002;122:1793-9.

17 Kull M, Kallikorm R, Lember M. Impact of molecularly defined hypolactasia, self-perceived milk intolerance and milk consumption on bone mineral density in a population sample in Northern Europe. Scand J Gastroenterol 2009;44:415-21.

18 Nicklas TA, Qu H, Hughes SO, et al. Selfperceived lactose intolerance results in lower intakes of calcium and dairy foods and is associated with hypertension and diabetes in adults. Am J Clin Nutr 2011;94:191-8.

19 Huncharek M, Muscat J, Kupelnick B. Colorectal cancer risk and dietary intake of calcium, vitamin D and dairy products: a meta-analysis of 26,335 cases from 60 observational studies. Nutr Cancer 2009;61:47-69. 20 Pufulete M. Intake of dairy products and risk of colorectal neoplasia. Nutr Res Rev 2008;21:56-67.

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